Ecco la nostra ultima recensione sull’attesissimo finale della saga, Hunger Games: Il Canto della Rivolta – Parte 2. Buona lettura!
Scrivere la parola fine al termine di una saga cinematografica non è un compito facile. Ancora più difficile è realizzare un finale che soddisfi i lettori, il pubblico, e dia un senso di chiusura e compiutezza generale, districando tutti i nodi e concludendo ogni trama disseminata nel corso nei film precedenti. Il regista Francis Lawrence riesce a fare tutto questo: riesce a regalarci un finale degno del romanzo a cui si ispira, soddisfacente e assolutamente fedele al materiale di partenza.
La fedeltà ai particolari e ai dettagli del libro è qualcosa che ci ha sempre colpito, fin da Hunger Games, ma soprattutto a partire da La Ragazza di Fuoco, ed è una lampante dimostrazione del profondo amore e dedizione dei produttori, anche di fronte a tematiche impegnative che comportano difficili scelte di trasposizione. Ne Il Canto della Rivolta – Parte 2 possiamo apprezzare tutte le principali citazioni del libro, arricchite da alcuni dialoghi e scene aggiunte che riescono a conferire spessore e stratificazione alla storia.
Tra le scene aggiunte, ricordiamo i momenti con il Presidente Snow. Sono sue alcune delle scene e battute migliori di tutto il film: dall’assassinio di Antonius grazie alla sua arma preferita, il veleno (“Allora, a cosa abbiamo brindato, Ministro Antonius?”); alla sua inattesa vulnerabilità, che emerge quando Egeria lo coglie con un fazzoletto sporco di sangue tra le mani; passando per lo scontro televisivo in cui vengono contrapposte due efficaci retoriche propagandistiche, la sua e quella della Coin (“[Katniss Everdeen] Non una pensatrice, non una leader, un volto preso a caso tra la folla”) fino ad arrivare al rivelatore dialogo finale con Katniss. Il suo sguardo e la sua risata dopo l’assassinio della Presidente Coin sono qualcosa che faremo molta difficoltà a dimenticare. L’interpretazione di Donald Sutherland è ancora una volta magistrale.
Una piacevole sorpresa è stato lo sviluppo e la maggiore caratterizzazione di tutti quei personaggi secondari che nel libro rimangono diverso tempo sullo sfondo. Pollux (Elden Henson) e i suoi attacchi di panico quando la Squadra 451 decide di inoltrarsi nei sotterranei e il legame fraterno con Castor (Wes Chatham) che lo tranquillizza (“Usciremo vivi da qui, te lo prometto”); Jackson (Michelle Forbes) che mette in dubbio i presunti ordini di Katniss e Cressida (Natalie Dormer), la quale inizia gradualmente a guardare la protagonista non solo come un semplice mezzo propagandistico, ma come un leader da seguire, meritevole della sua fiducia.
Impeccabile il ritorno di Jena Malone nei panni di Johanna, che in pochissime scene riesce a conquistare subito il pubblico, e di Mahershala Ali, uno di quei personaggi a cui istintivamente ci si affeziona, una figura che incarna i valori positivi di giustizia e lealtà, che protegge Katniss indiscriminatamente, pur non avendo nessun debito nei suoi confronti (“Ho in mente per te una lunga vita”). Josh Hutcherson ha dato vita a una performance inedita e particolarmente sentita: il vecchio e il nuovo Peeta si alternano rapidamente nelle sue espressioni, nei suoi sguardi. E quando la follia che spesso leggiamo nei suoi occhi (come nella scena in cui sbatte la testa contro l’impugnatura del fucile) lascia spazio a una rinnovata lucidità e ragione, non possiamo fare a meno di apprezzare la sua forza di volontà nel continuare la missione nonostante tutte le morti e la sua strenua opposizione ai nuovi giochi che vorrebbe indire la Coin.
Passiamo ora al lato più tecnico. Abbiamo tutti notato come la scelta di convertire il film in 3D non sia stata delle migliori. Se si vuole realizzare un film in 3D bisogna avere gli strumenti adeguati e iniziare a occuparsi del formato 3D durante le riprese. La conversione non è mai una soluzione perché i difetti sono troppo evidenti: immagini buie, prive di colore (certamente non aiuta il fatto che i colori del film stesso siano tendenti al grigio e che alcune scene risultino per loro natura poco luminose), la terza dimensione, la profondità, assolutamente inesistente. Dispiace pensare che anche la Lionsgate sia caduta nella trappola dell’incasso facile, che a poco è servito dato che le prime stime dal Box Office vedono quest’ultimo film in calo rispetto al successo ottenuto dai capitoli precedenti.
E anche su questo dato potremmo fermarci a riflettere. Il successo del tutto contenuto della Parte 2 è difficile da decifrare. Noi fan eravamo in fibrillazione all’idea di vedere la conclusione della saga sul grande schermo, l’attesa era altissima, ma probabilmente la campagna promozionale ha visto una concentrazione di materiale (poster, still, spot) nell’ultimo periodo e relativamente poco nel periodo precedente. Nella Parte 2, tutti sapevamo che la storia si faceva decisamente più cupa e molti fan, non avendo già apprezzato le scelte della scrittrice, non hanno fatto altro che confermare la loro perdita di interesse nella saga accogliendo tiepidamente il film al cinema. Inoltre, la divisione in due parti dell’ultimo libro può aver contribuito ad appiattire l’interesse nella storia. Se la divisione ha permesso di approfondire meglio il materiale del libro, dando il giusto spazio a tutti i personaggi e aggiungendo intensità alla storia, d’altra parte ha frammentato il ritmo e, come spesso accade in film composti da parte prima e seconda, ci troviamo di fronte a due film che non rispettano lo sviluppo classico di una storia (inizio, svolgimento e conclusione). La Parte 1 mancava di una vera e propria fine e la Parte 2 di un vero e proprio inizio. Lo spettatore, dopo essere giunto al punto di massima aspettativa (con il salvataggio di Peeta e l’inaspettato depistaggio) è costretto ad attendere un anno per vedere la risoluzione della storia. In questo tempo, l’attesa e aspettativa vanno naturalmente a scemare.
Dicevamo, però, che la divisione in due parti permette di approfondire meglio il materiale di partenza dando un’intensità che è possibile raggiungere solo se si ha il giusto tempo di sviluppare la trama. È il caso della scena nelle fognature, resa in modo impeccabile dal regista. Non c’è nulla di affrettato, anzi i movimenti dei protagonisti sembrano decelerati e la scena è immersa in un inquietante buio e silenzio. Tutto ciò crea un senso di agitazione e timore nello spettatore, che comincia a toccare con mano i pericoli della guerra e a dare concretezza alle minacce di Snow. L’attacco di panico di Pollux all’ingresso delle fogne non fa altro che suggerire allo spettatore un senso di claustrofobia e imminente pericolo. Pur conoscendo la storia, ci si dimentica per un attimo di quello che accadrà di lì a poco perché siamo talmente coinvolti che ci sentiamo uno dei personaggi: avvertiamo una forte tensione, ma siamo incapaci di capire cosa accadrà.
Una scena davvero potente che culmina con la tragica e atroce morte di Finnick, resa nell’unico modo possibile data la violenza della scena. Se nel libro l’azione ha la meglio sull’emozione (i personaggi e la stessa Katniss non riflettono molto sulla morte di Finnick, ma proseguono nel loro intento di raggiungere il Presidente Snow), nel film si cerca di dare maggiore significato alla scena attraverso il discorso che Peeta farà una volta raggiunta la casa di Tigris (ampliato rispetto al libro).
“Che significano quelle morti? Significano che la vita non era mai stata nostra. Non era una vita vera, perché non avevamo alcuna scelta. La nostra vita appartiene a Snow, come la nostra morte. Ma se tu lo uccidi, Katniss, se metti fine a tutto questo, ci sarà un senso per tutte quelle morti”.
A questo discorso davvero toccante, se ne affianca uno non particolarmente riuscito. È un film di guerra, come ha più volte ribadito Francis, quindi è comprensibile che il ritmo del film sia dettato quasi esclusivamente da scene di azione. La difficoltà era ritagliare degli spazi per poter inserire alcuni importanti momenti di riflessione. L’azione è così preponderante che il loro inserimento è risultato a volte stridente. Ci riferiamo al dialogo tra Peeta e Gale nel rifugio di Tigris, ad esempio. La sensazione che lascia è quella di un dialogo inserito giusto perché importante e atteso dai fan, ma banalizzato, quasi riconducile a un momento di “pettegolezzo”. Questo perché tra una scena di azione e l’altra non c’è stato molto modo di investigare il rapporto tra i tre protagonisti. E Gale costituisce, a nostro avviso, un punto dolente del film. È vero che rappresenta la “non-scelta” di Katniss, da cui lei deve progressivamente allontanarsi per arrivare a una scelta matura e consapevole verso Peeta, ma Il Canto della Rivolta era il libro del riscatto di Gale, il momento in cui, dopo essere stato a lungo un passivo spettatore, entra finalmente in azione facendo valere i propri ideali e arrivando persino a sbagliare per la troppa fredda di trovare vendetta. Ci sembra che tutto questo sia andato perso nel film e che Gale diventi un semplice personaggio di contorno, un antagonista. Il tutto aggravato dalla scelta di eliminare il forte senso di colpa che porta Gale ad allontanarsi da Katniss e decidere che sia lei ad allontanarlo per sempre.
Ma forse il punto più dolente è la morte di Prim (una scena che ne segue una, invece, decisamente ben riuscita e orchestrata, ovvero Katniss e Gale che si mescolano tra gli abitanti della capitale per raggiungere Snow). La scena è troppo rapida, cogliamo Prim in pochi fotogrammi prima dell’esplosione e questo non permette di realizzare appieno quanto sta accadendo. In poche righe del libro, avvertiamo l’urgenza di Katniss nel raggiungerla, lo stupore e la paura del vederla in mezzo alla folla. Subito dopo, troviamo uno dei capitoli più angoscianti e disperati di tutta la trilogia, in cui Katniss è intrappolata nel suo dolore, “un ibrido di fuoco che conosce un’unica sensazione: l’agonia”, in cui il suo danno psicologico legato alla perdita della sorella si riflette nel suo stato fisico. Nel film, invece, all’immagine di Katniss a terra avvolta dalle fiamme passiamo alla scena in cui la madre la sta curando, una scena totalmente priva del dramma e dell’inquietudine che aveva caratterizzato il romanzo.
Le sorti si risollevano nella scena forse più potente del film: Katniss che urla a Ranuncolo, ormai l’ultimo legame rimasto con la sorella, e che finisce per stringerlo a sé, cercando di colmare quel vuoto che non potrà mai più essere riempito. Jennifer Lawrence ci regala in questa scena una delle sue migliori performance, insieme al discorso potente, evocativo e pieno di rabbia del Distretto 2 (“Io ho smesso di fare la pedina nelle sue mani”).
Tralasciando il fattore Prim, il finale del film è quello che dà le maggiori soddisfazioni. Meraviglioso il dialogo con Snow nel roseto, la votazioni dei vincitori sui nuovi Hunger Games (con l’incredibile scambio di sguardi tra Katniss e Haymitch), e la scena dell’esecuzione, accompagnata da una colonna sonora epica e maestosa, che scandisce perfettamente i pensieri e la volontà di Katniss nel suo ultimo atto di ribellione.
“Siamo creature stupide e incostanti, con la memoria corta e un grandissimo talento per l’autodistruzione. Anche se… chissà, magari questa sarà la volta buona, Katniss. La volta che invece dura”.
È proprio la lettera di Plutarch a racchiudere il significato dell’intera storia, parole che suonano molto attuali alle nostre orecchie. Qual è il senso ultimo della guerra? Quanta vita potrà mai avere la pace? La storia di Panem non è poi così tanto diversa dalla nostra, in fondo.
Molto apprezzato il sorprendente e dolce addio di Haymitch a Effie (che abbiamo scoperto essere frutto dell’improvvisazione di Woody Harrelson) e l’espressione di quest’ultima sull’orlo delle lacrime quando Katniss si allontana. Il ritorno alla vita nel Distretto 12, il ritorno nel posto in cui tutto è iniziato, ci fa capire che niente sarà mai più come prima. Eppure, si avverte una sensazione strana, quasi confortante quando vediamo Katniss a caccia, quando Peeta pianta le primule o quando siedono attorno al tavolo insieme a Haymitch, per la prima volta davvero sobrio. Scene molto semplici, che proprio nella loro semplicità ci fanno comprendere come è possibile affrontare gli orrori del proprio passato e continuare a vivere una vita che meriti ancora di essere vissuta. In breve, il vero messaggio della saga, che, ritorna, prepotente, nell’epilogo.
L’epilogo si concentra esclusivamente su di lei, la nostra protagonista: l’innamorata sventurata, la Ragazza di Fuoco, la Ghiandaia Imitatrice, in realtà, nulla più di una semplice ragazza che, nel tentativo di salvare le persone che amava, si è ritrovata a scoccare la prima freccia della ribellione, finendo poi per diventare portatrice di quegli stessi ideali di pace grazie ai quali il mondo è stato reso un posto migliore. Una ragazza che grazie a Peeta, e ai suoi figli, sembra aver ritrovato la speranza, e infine, la felicità. La parabola di Hunger Games si conclude con il messaggio più potente: non importa quanto siano atroci gli incubi che ci perseguitano, in qualche modo, e con le persone giuste al nostro fianco, si avrà la forza e il coraggio di superarli. Un messaggio di speranza, molto più esplicito e calcato rispetto al romanzo, che, però, ci è sembrata la scelta più giusta, l’unica possibile per concludere definitivamente la saga.
“Un giorno dovrò spiegare i miei incubi. Perché sono venuti. E perché non se ne andranno mai del tutto. Dirò loro come li supero. Dirò loro che, nelle mattine brutte, mi sembra impossibile trarre piacere da qualcosa perché temo possano portarmelo via. E che in quei momenti faccio mentalmente un elenco di ogni atto di bontà che ho visto fare. È come un gioco. Ripetitivo. Persino un po’ noioso, dopo più di vent’anni.
Ma esistono giochi molto peggiori a cui giocare.”
Fantastica recensione, mi trovo d’accordo quasi su tutto! 😀
Comunque negli ultimi giorni ho sentito vari pareri di amici (fan della saga e non) che hanno visto il film e concordano sul fatto che la divisione in due parti non sia stata la scelta più azzeccata.
La critica più forte è sempre legata al ritmo, molto discontinuo, degli ultimi due film.
Sono sempre più convinto che un unico film di 3 ore (o poco più) avrebbe ricevuto un consenso molto più ampio da parte di pubblico e critica.
Ciononostante mi domando se avremmo ancora avuto sequenze ben studiate come quella nei sotterranei o se, a causa dei limiti di durata, la scena sarebbe stata più frettolosa e di conseguenza meno intrigante.
Bellissima recensione complimenti, scritta in modo stupendo, mi trovo d’accordo su tutto!
salve a tutti da molto tempo seguo questo sito e finalmente anke se in ritardo mi sono deciso a partecipare.Per prima cosa voglio ringraziare chi ha creato e gestito questo sito in maniera seria e impeccabile Seneca in primis e tutti coloro che hanno partecipato.Penso che hunger games sia un fIlm stupendo pieno di sentimenti azione spessore artistico un cast eccezionale attori e regista stupendi, passando alla recensione del film del film concordo in pieno un lavoro davvero ben fatto(anke se come tutti i fan avrei sperato in qualche scena in piu’ katniss e peeta)ma va bene cosi. ringrazio tutti per qst bella avventura
PS: spero davvero davvero che il sito possa rimanere aperto
Grazie Sasa’ 🙂 Il sito rimarrà aperto, non lo abbandoneremo xD L’anno prossimo, tra l’altro, ci aspettano diverse sorprese, come lo spettacolo di Hunger Games a Londra e l’apertura delle attrazioni nel parco di Dubai! Quindi… insomma, anche se i film sono finiti, continuate a restare con noi!
anche io sono come te seguo il sito da tanto tempo ma solo una settiama fa mi sono decisa a partecipare
la recensione e bellissima e sono d’accordo praticamente su tutto
Quentin Tarantino, per Kill Bill volume 1 e 2 scelse 5 mesi di intervallo per l’uscita del secondo film.
Gli ultimi due Harry Potter uscirono a 6 mesi di distanza l’uno dall’altro.
Se è comprensibile dividere l’ultima parte di una saga in due film, non lo è un anno di distanza tra i due film.
E lo dico sia da fan di Hunger Games che da semplice appassionato di cinema.
Ho trovato anch’io frettolosa la morte di Prim, ma proviamo per un attimo a ragionare, se qualcosa di così grave e improvviso accade in pochi secondi, vi sono alternative?
Si poteva provare con lo slow motion, ad esempio, per rendere la sequenza di maggiore impatto.
E qui, mi sale il rimpianto per il fatto che Gary Ross non abbia continuato a essere lui il regista della saga.
Francis Lawrence è bravo, ma Gary Ross ha dalla sua l’esperienza che permette determinate scelte stilistiche che a Lawrence non sono passate per la testa…